Oggi parliamo di: Parmigiano Reggiano - 1° parte

Tutto il mondo ce lo invidia e cerca d'imitarlo, INUTILMENTE.

PERCHE', il vero Parmigiano Reggiano, è solo quello prodotto nel cuore della Pianura Padana, uguale da 1000 anni; può entrare nella dieta di tutti, grazie alla sua digeribilità.

Il Parmigiano Reggiano è documentato già nell'anno Mille ed è citato da Boccaccio nel suo Decameron.

Da allora è rimasto sempre lo stesso, medesima zona di produzione, identici le materie prime, il processo di lavorazione e, naturalmente, il sapore.

Durante questi mille anni, la fama del Parmigiano Reggiano è cresciuta e ha superato le frontiere nazionali, facendone un simbolo made in italy alimentare (viene venduto all'estero il 27% degli oltre 2,9 milioni di forme), ma rendendolo anche uno dei formaggi tradizionali più imitati al mondo.

Tuttavia, il vero, l'originale Parmigiano Reggiano è uno solo: quello prodotto nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova, sulla riva destra del Po e Bologna (sulla sinistra del Reno).

Sin dal 1954 era contraddistinto dalla D.O. a livello nazionale diventata nel 1992 Dop (Denominazione di origine protetta) che ne garantisce l'autenticità all'interno dell'intera Unione Europea.

Il disciplinare della Dop regolamenta tutta la filiera: dall'alimentazione delle mucche ai requisiti organolettici finali del formaggio; stabilisce che lo si possa produrre solo nell'area descritta e specifica il tipo di allevamento delle mucche, la produzione del formaggio e la sua stagionatura (obbligatoria in zona fino al 12° mese).

Il confezionamento può essere effettuato anche fuori dalla zona consortile purchè il prodotto mantenga la crosta (dunque, non deve essere grattugiato); la produzione del Parmigiano Reggiano avviene quotidianamente; il latte viene raccolto nelle stalle due volte al giorno e proviene da mucche alimetate solo con foraggio verde, fieno di prato e mangime secco.

Il latte viene lavorato a crudo (la munta serale è scremata per affioramento), senza antifermentativi, conservanti o coloranti.

Appena arrivato al caseificio viene posto in caldaie di rame dove è riscaldato e fatto coagulare con sieroinnesto (ricco di fermenti lattici) ottenuto lasciando acidificare naturalmente il siero della lavorazione del giorno precedente.

Ottenuta la cagliata la si rompe manualmente e la si porta a 53-56°C di temperatura, quindi, si lascia spurgare, si divide a metà (la cosiddettta gemellata) e la si estrae per porla negli appositi stampi (dette fascere).

Da una caldaia si ottengono due sole forme; in questa fase viene apposta anche una placca di caseina, che si integra nel formaggio e che serve a identificare ogni forma.

A sera, quando la forma è ancora morbida, viene circondata con una fascia che imprime sulla crosta i marchi registrati del Consorzio di tutela, mese e anno di produzione, codice identificativo del caseificio.

Articolo di Manuela Soressi - tratto da News, dicembre 2011

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